Questo ripensamento ‘implica un confronto sui modelli economici ma anche su chi e come prenderà le decisioni per la riorganizzazione degli usi delle acqua, necessaria per via della crescente scarsità, così da assicurarsi che sia una riorganizzazione giusta e non ingiusta. Che tenga cioè conto nella maniera migliore possibile degli interessi dei più e non dei pochi’, sottolinea il docente, intervistato dalla ‘Dire’. Ma intanto che effetto fa, per uno storico, vedere le immagini del Po talmente a secco da far affiorare i mezzi militari della seconda Guerra mondiale o un ponte medievale? ‘Questa siccità non potrebbe arrivare per me in un momento migliore, o peggiore- risponde il docente- perché sto scrivendo, ormai da molti anni, una storia del bacino del Po nella quale mi interesso al modo in cui lo sviluppo economico nella regione padana, che come sappiamo è quelle più ricche d’Italia, è dipeso storicamente dall’abbondanza di acqua e il punto di arrivo della mia storia, che abbraccia circa due secoli, è per l’appunto una siccità e cioè quella del 2003’: fu un evento ‘di portata epocale- continua Parrinello- perché rappresenta la prima delle grandi siccità contemporanee’.
La prima, cioè, delle siccità ‘che hanno messo e stanno mettendo a durissima prova il settore agricolo, la fornitura di acqua potabile e la produzione energetica. Proprio in queste settimane- racconta il docente- sto scrivendo la conclusione’ del volume e ‘fa molto strano scrivere del 2003 e contemporaneamente leggere degli eventi del 2022, perché la dinamica è molto, molto simile’.
Infatti ‘siamo di fronte- spiega Parrinello- ad un accumulo di fattori legati al cambiamento climatico, come nel 2003: riduzione della precipitazione di neve nell’inverno, assenza di precipitazioni di pioggia in primavera e ancora di più in estate, temperature altissime che quindi aumentano i bisogni irrigui dell’agricoltura, l’evaporazione dell’acqua e il bisogno di energia’. Eppure, dal 2003 al 2022 va rilevata ‘una quasi completa assenza di interventi strutturali e per me è davvero vertiginoso- afferma Parrinello- pensare a questi 20 anni passati senza che si sia mosso nulla, pur sapendo che andiamo incontro ad un futuro in cui questi eventi non faranno che ripetersi e in forme sempre più gravi’. Si parla dell’Emilia-Romagna come ‘Food valley’, ‘Motor valley’ e ‘Data valley’, però forse non si è parlato abbastanza di ‘Water valley’, allora: c’è stata sottovalutazione? ‘E’ stata sottovalutata l’idea che esistono dei limiti. Leggendo, come mi è capitato di fare per il mio lavoro, documenti programmatici, rapporti ministeriali e studi economici- risponde Parrinello- negli ultimi due secoli l’idea del bisogno di acqua è sempre stata presente’: un esempio è la centralità dell’irrigazione nell’agricoltura regionale e il ruolo giocato in questo dall’acqua del Po tramite il grande Canale emiliano-romagnolo.
Il Canale, infatti, ‘fu costruito a partire dagli anni ’50 ma in realtà- spiega il docente- fu progettato già nell’800’ e poi è rimasto al centro del dibattito anche negli agli anni ’70 e ’80, ‘in cui si parlava del Mercato comune europeo e del ruolo che l’acqua del Po, attraverso il Canale, avrebbe avuto per favorire la specializzazione ortofrutticola nel comparto emiliano’.
Ma ci sono altre parti del mondo dalle quali si possono mutuare buone pratiche? ‘C’è molto da imparare dai Paesi che fanno i conti con la scarsità d’acqua da prima di noi. Penso all’Africa del nord, all’India, ai cosiddetti Paesi del sud del mondo che abbiamo sempre guardato con una certa supponenza e senso di superiorità- sottolinea Parrinello- ma che, invece, hanno sviluppato tecniche, tecnologie, sistemi e colture pensate proprio per fare i conti con la scarsità e tirare fuori il massimo profitto possibile da condizioni ambientali molto dure’.