Fronteggiare l’aumento della siccità con la realizzazione di nuovi invasi, come si sta pensando per il bacino padano? “Illusorio” o, ancora peggio, “più dannoso che utile”. A dirlo nel corso di un’intervista alla ‘Dire’ è Giacomo Parrinello, storico dell’ambiente e assistant professor all’istituto Sciences Po di Parigi.
Intanto, rispetto agli scenari prodotti dal cambiamento climatico, “sulla reversibilità bisogna essere molto chiari: non siamo più nella condizione di poter revertire alcunché. Non è una questione di opinione ma di scienza”, avverte Parrinello richiamando i rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu. “Siamo già in una situazione in cui le temperature medie sul pianeta sono aumentate di almeno un grado, in alcune zone tra cui la valle padana anche di più. Questo aumento- continua il docente- è responsabile di questi primi segnali che stiamo osservando, cioè riduzione delle precipitazioni, scioglimento dei ghiacciai, eccetera. Questo aumento è il risultato delle emissioni di Co2 già fatte e purtroppo non si può cancellare il passato”. Peraltro, “gli effetti di questo grado di aumento medio globale non li stiamo ancora vedendo tutti”, mette in chiaro Parrinello, anzi “stiamo vedendo solo l’inizio di queste trasformazioni e tornare indietro non è possibile. Quello che è possibile, anzi necessario e urgente, è impedire un ulteriore aggravamento della situazione”. Insomma, “la reversibilità ce la possiamo dimenticare, quello che possiamo sperare e a cui dobbiamo ambire tutti è fermare le emissioni di Co2 in modo da stabilizzare la situazione tale e quale la vediamo più o meno oggi o comunque nei prossimi decenni”.
Le ondate di calore che stiamo vivendo “ormai ce le terremo per il resto delle nostre vite e nel migliore dei casi non peggioreranno, questa è la battaglia. E’ per questo- continua Parrinello- che sono importanti le due facce del cambiamento climatico: una è quella dell’adattamento, ovvero dobbiamo adattarci alle condizioni nuove che abbiamo creato e che non possiamo più disfare, l’altra è quella della mitigazione e cioè dobbiamo fare in modo di evitare, attraverso la riduzione delle emissioni di Co2, che la situazioni peggiori”.
A proposito del primo aspetto, “ci sono modi di adattamento molto diversi, alcuni dei quali purtroppo- sottolinea Parrinello- possono rivelarsi più dannosi che utili e l’aumento degli invasi è uno di questi esempi. Gli scienziati parlano di ‘maladattamento’, cioè di soluzioni che in realtà non fanno altro che aumentare la dipendenza, nel nostro caso dalla disponibilità d’acqua, senza andare a toccarne le radici e rischiando paradossalmente di riproporre il problema in una forma ancora più grave a distanza magari di qualche anno”. L’idea che ulteriori bacini possano risolvere il problema “nasce dall’illusione che si possa continuare a far funzionare l’agricoltura e il settore energetico padano con le stesse quantità d’acqua che si usano nel 2022 e quindi, in fondo, non facciamo altro che cercare altra acqua, anche dove non ce n’è, senza mettere in discussione quanta ne utilizziamo. E’ illusorio- prosegue Parrinello- perché, per quanti bacini si possano costruire, l’acqua disponibile si riduce e questa scarsità non farà altro che generare ulteriori conflitti, se non si mettono in discussione alla radice gli usi”.
Certo, ci sono interventi sugli sprechi e sugli acquedotti che “vanno fatti e sono importanti- aggiunge Parrinello- ma se non si fa una vera discussione sugli usi dell’acqua”, allora “non si va da nessuna parte”. Eppure, allo stesso tempo, c’è anche il problema dell’eccesso di acqua, visto che si ripetono alluvioni e allagamenti. Com’è possibile? “E’ una bella domanda, perché va al cuore del paradosso che si fatica a comunicare sul cambiamento climatico e il suo impatto sul ciclo delle acque. Quello che i climatologi ci dicono sta succedendo- spiega Parrinello- è una modificazione del regime delle piogge e delle nevi, che a due facce. Una è quella dell’assenza. Stagioni che si era abituati da millenni, cioè da quando gli uomini hanno inventato l’agricoltura, a considerare come piovose, ad esempio la primavera, lo diventano sempre meno. Le precipitazioni nevose cominciano più tardi e finiscono prima per l’aumento delle temperature anche in montagna, quindi cade meno neve perché cade sotto forma di pioggia. E ci sono lunghi periodi, molto più lunghi di prima, in cui non piove”.
Però, contemporaneamente, a volte le precipitazioni che mancano per mesi “si concentrano in una settimana e ci si trova di fronte a veri e propri diluvi, in cui nel giro di poche ore o pochi giorni cade l’equivalente di una stagione intera- continua il docente- e improvvisamente fiumi in secca diventano torrenti”. Questo regime, tipico del sud Italia, “si generalizza e amplifica anche in zone che non l’avevano ed è il paradosso del cambiamento climatico. Come dicono gli scienziati, aumentano gli eventi estremi di tutti i tipi: estreme precipitazioni ed estreme siccità”.
Agenzia DIRE