Le interviste di CBN: Luca Moscariello
Questo mese l’intervista ci porta tra i colori e le opere di un giovane artista: Luca Moscariello che vive a Sala Bolognese. Sua è l’opera dal titolo “Il valore delle favole” che recentemente è stata istallata nei pressi della Trasversale di Pianura. Luca, nel corso del suo percorso artistico, ha partecipato ad importanti rassegne di arte contemporanea, sia a livello nazionale che internazionale, come Art Athina, Art Vilnius, Artefiera Bologna e Art Verona.
Raccontaci come ha avuto inizio il tuo percorso professionale e artistico.
Il percorso professionale ha coinciso quasi da subito con la fine degli studi in Accademia. Sebbene inevitabilmente gli eventi iniziali avessero l’aderenza esatta con il brancolare nel buio all’interno di un territorio nel quale l’ostinazione è l’unico strumento che ti permette di non dissipare ciò che vuoi assecondare. Necessari sono stati gli incontri, certamente la persona che per prima ha creato i presupposti per dare una eco professionale al mio percorso è stato Francesco Martani.
Ma ugualmente determinanti sono stati i tanti rifiuti e le distanze create successivamente.
Com’è nato e cosa rappresenta il progetto legato all’opera – fortemente simbolica – che si trova ora collocata alle porte di Sala Bolognese, sulla Trasversale di Pianura?
C’è un’attinenza esatta o casuale nella tua domanda, poiché la scultura è stata pensata come la Porta di Sala. Sarebbe sorta a breve distanza da una zona, che una recente ricostruzione storica ha identificato come castrum romano. Questo mi forniva un primo pretesto di riflessione, ponendomi in un ipotetico dialogo con le porte antiche di tante città.
La portata del lavoro ha una valenza che si pone in continuum rispetto le pratiche di bottega rinascimentale e il coinvolgimento di tante maestranze, che hanno reso tangibile ciò che io avevo racchiuso in uno studio, lo racconta.
È stata un’esperienza enorme in tutti i sensi, motivo di orgoglio per tanti lavoratori, che ha originato un entusiasmo collettivo in una fase storica che ha afflitto molti.Apparenza non significa manifestazione di sé ma annunciarsi di qualcosa che non si manifesta, sostiene Didi-Hubermann, ed ecco che i grandi portali sono l’orizzonte che attende di essere scoperto.
Queste sono terre di fatica, di sostegno, di donatori, in costante evoluzione e dove la singolarità può trovare identificazione e nobilitarsi nella collettività. È un lavoro fortemente connotato col territorio che lo include, e l’inclusione è tra i primi precetti che la scultura, rivolta proprio per questo verso la basilica, traduce. È un lavoro, come dici, fortemente simbolico, e credo sia necessario precisare che non è (come stato scritto) dedicato ai Musicanti di Brema. Si avvale dell’immaginario del racconto, per creare un precedente visivo conosciuto e intriso di significato, per poi fornire e prolungarne lo sguardo di speranza.Avevo iscritto i quattro animali, che formano l’iconica scultura di Brema, all’interno di quattro elementi geometrici, originando una nuova riproposizione della torre. Una ricerca semiotica che facesse di quella prima immagine un’immagine nuova che la contenesse, richiamasse e sviluppasse. A quel punto, mi è stato fatto notare che la sola “babele” composta di volumi rischiava di non essere sufficientemente efficace ai fini della fruizione collettiva, così sono state forgiate anche le silhouette degli animali.
Un lavoro quindi che abbraccia un arco temporale siderale, oscillando tra epoche diverse, analogie e auspici comuni, dove la memoria è sempre innovazione. Considerazioni che tuttavia richiedono empatia, ed è sintomatico e propulsivo che siano i giovani i primi, assieme a coloro che hanno dedicato un tempo sufficiente all’ascolto della visione e alle motivazioni a corredo, ad apprezzare la bontà del progetto.
Ecco perché il nostro lavoro crea una differenza e una indifferenza verso una moltitudine di esercizi di stile anacronistici che rassicurano occhi aridi e trovano consenso negli sguardi non educati a indagare oltre.
Attorno alla scultura poi sarà creata un’area verde. Un’area che ho fortemente chiesto potesse essere dedicata al mio mentore Pirro Cuniberti, artista che di Sala aveva i natali, come un ipotetico passaggio di consegne che a mia volta mi auguro possa avvenire.
Le tue opere pittoriche sono “piccoli mondi” frutto di combinazioni tra colori e forme, certamente non casuali, che riempiono lo spazio circostante e catturano lo sguardo. Qual è (se c’è) il filo conduttore che caratterizza i tuoi lavori?
“Proiettandoci altrove”, come hai scritto, è esattamente tra i motivi che mi animano. C’è sempre un altro da sé che trascende la superficie, d’altronde non possiamo liberarci dell’immaginario da cui prendiamo le mosse.
Oggi che il mio lavoro si è spogliato di eccessività, la suggestione di indagine aumenta. Lavoro sulla soglia del fraintendimento, per irretire lo sguardo e indurlo all’oltre, all’ulteriorità, l’alterità.
La verosimiglianza pittorica delle nuove scene è l’esca che cattura l’occhio per condurlo a non accontentarsi del superfluo. Nell’indagine si dilata il tempo, oggi svuotato di senso, ridotto all’istante.
Non c’è rivendicazione né velleità sociali, eppure è una riflessione sul quotidiano, dettato dalla moltitudine di immagini che affliggono e infiaccano l’occhio contemporaneo, che vede ma non guarda più.
Che valore ha per te l’arte, soprattutto nell’epoca che stia–mo vivendo?
Mi è capitato di rispondere ad una domanda simile durante il lockdown. Trascorrere una quantità smisurata di ore nella solitudine dello studio ti predispone al micidiale, per dirla come Alessandro Bergonzoni. Affrontare quotidianamente l’abisso, che in tanti hanno scoperto di avere solo ultimamente, non ha onestamente cambiato molto delle mie considerazioni e l’arte non ha aumentato di valore, essendo per me sempre un fattore totalizzante.
Sarebbe auspicabile che aumentasse nelle considerazioni generali, ma non conosco periodi troppo recenti nei quali questo sia accaduto.
Come artista, quali progetti hai in serbo per il futuro?
A maggio, con il ripristino di Artefiera,esporrò un lavoro al museo ebraico di Bologna, con la cura di Alice Zannoni e la collaborazione della Galleria Federico Rui di Milano.
In giugno è prevista l’inaugurazione della grande scultura a Sala Bolognese. Poi alcuni eventi in fase di definizione per l’autunno.
E un altro del quale per scaramanzia non ti dico nulla.
Laura Palopoli