Se n’è andato a 93 anni ancora da compiere Adelmo Franceschini; ex sindaco di Anzola dell’Emilia, narratore in molte scuole del bolognese e non solo della sua vicenda di internato militare. L’internato italiano numero 46737 del campo tedesco di Barsdof, dove giunse alla fine del 1943, dopo aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò.
Aveva poco più di 18 anni Adelmo Franceschini, quando all’indomani dell’8 settembre del ’43 si ritrovò insieme ad altri 650.000 soldati italiani a dover scegliere se arruolarsi nelle milizie della Repubblica Sociale di Salò o finire internato in un campo di prigionia tedesco.
Abbandonati dagli ufficiali fuggiti la notte stessa in cui seppero che Mussolini era stato liberato dai tedeschi al campo del Gran Sasso e collocato a Salò, molti di quei nostri soldati già l’indomani furono rastrellati dalle caserme italiane ad opera dei militari tedeschi.
Erano in venticinque in casa quando Adelmo era partito militare, servivano braccia per lavorare i campi e lui che apparteneva ad una famiglia come tante senza un preciso orientamento politico (“non eravamo né fascisti, né antifascisti”)… sostiene che fu semplice per gli italiani di allora trarre beneficio da una politica che garantiva un piatto di minestra e l’istruzione a tutti.
Tra le materie scolastiche si studiava “cultura fascista” e lui da bambino aveva sempre avuto il voto più alto: lodevole!
Però dopo il rastrellamento in quella caserma di Modena dove prestava servizio militare, Adelmo si rese conto che l’educazione all’obbedienza aveva danneggiato l’Italia, perché non aveva reso il popolo responsabile delle proprie scelte, ma vittima di un indottrinamento che faceva il gioco del più forte. Adelmo si rifiutò di servire il più forte, disse no a quel potere che aveva imposto anni di sudditanza alla sua famiglia e a tanti braccianti, sfruttati da podestà e signorotti scelti dal fascio per amministrare il contado italiano.