La grande sfilata dei Padiglioni allegorici
Sei stato all’Expo? Certo, come tutti. Cosa hai visto? Niente, come tutti. C’era l’epoca delle polemiche sui ritardi dell’Expo, poi la polemica sui scarsi afflussi di visitatori e infine la polemica sui troppi visitatori. Veramente interessante il fatto che centinaia di migliaia di polemici non si siano accorti della cosa più importante: che all’Expo non c’era nulla da vedere! Ovvio, le code chilometriche sono un argomento molto più succulento. Trovarsi alle 9.25 (con metà degli ingressi che aprono alle 10) davanti a Palazzo Italia e sentirti dire “3 ore e mezza di fila” non è simpatico. Non essere nemmeno accettati alla fila del padiglione del Giappone perché già superava le otto ore lo è ancora meno. Risolviamo la questione: per arrivare alla data di chiusura pareggiando almeno i costi, l’organizzazione ha svenduto i biglietti e sorvolato sul limite agli accessi, facendo sì che i mesi di Settembre e Ottobre non fossero su misura per un essere umano. La prossima volta, se ci interessa davvero un evento, andiamoci prima, senza aspettare che ce lo martelli il TG5. Ora, all’Esposizione Universale sul cibo (il tema era Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita) ci si aspetterebbe quantomeno che si parlasse di cucina, di prodotti tipici, di colture e di metodi di irrigazione innovativi. Nulla di tutto questo, o quantomeno troppo poco. Camminando lungo il decumano (la via principale) si affacciavano i maestosi e scintillanti padiglioni delle nazioni ospiti,
splendidi dal punto di vista architettonico, vuoti dal punto di vista contenutistico. Il padiglione della Russia simboleggerebbe una metaforica Arca di
Noè, in quello tedesco le piante stilizzate rappresenterebbero i germogli delle idee che partono dal campo e sfociano nell’architettura… il risultato è stata una folla di pellegrini che ammiravano sbigottiti questi grandi carri di carnevale, avanti e indietro, stilando ognuno una personale classifica in base all’estetica ma anche alla lunghezza della fila. Qualche monitor con video e sottotitoli, molti contenuti per nulla fruibili dalla massa, boschi ricreati tanto per fare, tanti tanti piccoli capannoni di nazioni minori che definire “padiglioni” sarebbe bestemmia. Un orto in fiore allestito nello spazio slow food, con pomodori maturi e spinaci appena nati; una allettante didascalia piantata nella terra recitava “pomodoro”, ma sotto una esplicativa descrizione colmava questa lacuna e illuminava ogni giorno 250.000 persone: “tomato”. Tutto qua, a mio avviso un po’ poco.
Luca Frabetti