Prosegue l’inchiesta Aemila, 9 arresti e beni sequestrati per 330 milioni euro
Al via un nuovo filone dell’inchiesta Aemilia, nove arresti e 330 milioni di beni sequestrati. “Hanno 7.000 calabresi a Reggio Emilia e 3/4.000 a Parma”. Così, in una intercettazione, la Procura di Bologna continua a prendere le misure con il fenomeno della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna, mentre nella notte 300 carabinieri, con l’aiuto di elicotteri e unità cinofile, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di nove persone e sequestrato beni per 330 milioni.
L’operazione, spiega stamane in una conferenza stampa a Bologna il procuratore generale, Roberto Alfonso, è stata condotta dagli agenti dei comandi Modena, Parma e Reggio Emilia in Emilia-Romagna, Lombardia, Calabria, Lazio ed è uno “dei tantissimi filoni dell’inchiesta Aemilia” che riguarda la cosca della ‘ndrangheta ‘Grande Aracri‘. Le investigazioni, infatti, hanno scoperto che nove “importanti” aziende (di cui una a Malta), operanti anche nella costruzione di porti e aeroporti, erano state fittiziamente intestate ad amici degli ‘ndraghestisti.
Da qui la misura della custodia cautelare, ai domiciliari o in carcere per nove persone. Si tratta del boss Nicolino Grande Aracri, di Alfonso Diletto, Michele Bolognino, che sono già dietro le sbarre da gennaio, ai quali ora si aggiungono Giovanni Vecchi, Domenico Bolognino, Jessica Diletto, Francesco Spagnolo, Patrizia Patricelli e Ibrahim Ahmend Abdelgawad, che ora sono ai domiciliari. Tutti quanti sono indagati a vario titolo e in concorso tra loro, di intestazione fittizia di beni e trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante di aver agito al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa. Inoltre, sono accusati anche di impiego di denaro, beni o utilità di illecita provenienza (anche in questo caso, con l’aggravante di aver agito per agevolare l’attività mafiosa).
L’operazione, dunque, ha anche portato al sequestro preventivo di quote societarie, beni strumentali, conti correnti di nove imprese. Si tratta di Consorzio Europa e Ds costruzioni di Brescello (Reggio Emilia), Save Group e Save Engineering di Montecchio Emilia (Reggio Emilia), Impregeco di Roma, Save International di Malta, Immobiliare Bg di Reggio Emilia, Immobiliare Prestigio di Parma, Platino Immobiliare di Modena e della discoteca la Para di Parma. Tranne quest’ultima, che è riconducibile a Michele Bolognino, le altre portano a Alfonso Diletto, mentre si è riscontrato l’interesse diretto del boss Grande Aracri su Save Group, Save Engineering, Save International e Impregeco. Secondo le indagini, Diletto era quello che utilizzava i proventi illeciti della cosca per finanziare le società che si occupavano di appalti, non solo privati. Ed era lui a prendere le decisioni per Save Group, Save Engineering, Impregeco e nel caso di Save International era anche formalmente coinvolto nella gestione, probabilmente convinto di poter evitare i sequestri, spiega la Procura. Il ruolo di Vecchi e Patricelli, invece, erano quelli di prestanome che però sapevano benissimo che le società erano riferibili ad Alfonso Diletto e Grande Aracri. Tra i prestanome ci sono anche Jessica Diletto, Spagnolo e Domenico Bolognino e Abdelgawad e Michele Bolognino era referente delle attività economiche.
In realtà erano 19 le persone per le quali la Procura aveva chiesto la custodia cautelare, ma per 10 di queste il gip non ha ritenuto fosse necessario. Questo gruppo rimane comunque indagato. Sempre nell’ambito dell’operazione, sono stati sequestrati anche ulteriori beni (dopo quelli di 9 milioni in febbraio) di Palmo Vertinelli, anche lui agli arresti da gennaio. Il nuovo provvedimento ha colpito due aziende, la Vertinelli e l’Edilizia costruzioni generali, 54 immobili, 12 auto e 20 tra rapporti bancari e finanziari. In questo caso, spiega il procuratore, l’indagine ha accertato che Vertinelli nascondeva beni e denaro per evitare il sequestro.
Le perquisizioni partite in nottata, sottolinea il procuratore Alfonso, sono ancora in corso, e “stiamo acquisendo documentazioni che danno prove di diversi affari”. Di certo, c’è che i boss, seppur in carcere e al 41 bis, stavano continuando a dare direttive ai sodali e intestavano beni agli amici. Questo ennesimo filone, aggiunge, “è solo uno dei tantissimi dell’inchiesta Aemilia. Via via che si liberano risorse lavoriamo su altri spunti di indagine, ma per anni si potrà lavorare sul materiale investigantivo che abbiamo”. Per il momento, comunque, “non sappiamo se le nove società avevano ottenuto appalti, se hanno lavorato effettivamente in porti e aeroporti, se erano nella white list e non risultano legami con amministratori locali”, riferisce ancora Alfonso. L’attenzione della Procura è concentrata anche su alcuni professionisti, in particolare qualche avvocato, ma tra questi non ci sono indagati.
Intanto, racconta stamane il portavoce della Procura Valter Giovannini (16 luglio n.d.r.), durante la conferenza stampa, la Dia di Bologna e la Squadra mobile della Questura, hanno sequestrato in città beni per oltre un milione e mezzo di euro (riferibili a Giuseppe Indovino e Luigi D’Ercole), in un’indagine sul traffico di stupefacenti. Oltre a diversi rapporti finanziari accesi in ventuno banche, sono state sottoposte a sequestro due attività intestate a prestanomi, ma riconducibili a Indovino, e cioè “I sapori della Taranta” e “Lu furnu te la taranta” e anche una casa di D’Ercole. Nelle abitazioni sono anche state trovate due pistole non registrate.
Ristorante e forno sarebbero frutto del riutilizzo di denero guadagnato col traffico di droga di Indovino e D’Ercole. Il primo dei due, nel timore di sequestri, ha coinvolto nelle attività commerciali suoi amici senza precedenti penali. Per garantire la continuità delle attività commerciali, il gip ha nominato un amministratore giudiziario.
Agenzia Dire – www.dire.it